Ottocento anni fa. Sono passati otto secoli da quando san Francesco ha “inventato” il Presepe e il fascino di quell’intuizione magnifica mantiene ancora intatta la sua forza. E il suo valore. “Praesepe” è un vocabolo di derivazione latina e significa greppia, mangiatoia, o anche recinto per pecore e capre. Esattamente a questo pensa Francesco quei giorni della fine di novembre del 1223, quando passa dalla Valle Reatina e si ferma a Greccio. Il Poverello di Assisi sta tornando da Roma ed ha appena ricevuto da papa Onorio III la conferma della sua Regola. Ma è anche da poco tempo tornato dalla Palestina. Ha cuore e mente in tumulto. Ha visto le atrocità della guerra, proprio nella Terra Santa. Ha cercato il dialogo con il nemico ed è andato dal Sultano presentandosi a mano nude e capo scoperto. In Giudea Francesco si è fermato sulle alture di Betlemme e quel paesaggio gli torna alla mente davanti al borgo di Greccio. A Roma è entrato nella Basilica di Santa Maria Maggiore dove un’antica tradizione vuole che siano conservate le tavole della mangiatoia nella quale venne deposto Gesù appena nato. Troppe e intense sono le suggestioni che colgono Francesco quando, quindici giorni prima del Natale 1223, va dal signore del luogo, Giovanni Velita, suo amico e sostenitore, per chiedere l’autorizzazione a mettere in scena la Notte Santa. Ha individuato un luogo adatto per la sacra rappresentazione – spiega -, immerso in quella natura un poco selvaggia, e una grotta vuota dove far costruire una mangiatoia e portare un bue e un asinello. La notte del 24 dicembre 1223 Francesco dà vita al primo Presepe della storia. A Giovanni Velita così ha spiegato la sua intenzione: “Vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello”.
La gente che accorre in massa trova una gioia indicibile. Le autorità, anche quelle ecclesiali, sono assai meno entusiaste, perché in fondo colgono il messaggio rivoluzionario che sta nel richiamare i poveri e i miseri alla grotta di Gesù. La rappresentazione di Greccio ha una forza intrinseca incontenibile, che supera ogni ostacolo e rapidamente si diffonde in tutta la cristianità. Francesco ha icasticamente proposto il cuore del significato del Natale: Dio si incarna nella storia dell’uomo, di tutti gli uomini, in ogni luogo e in ogni tempo. Così presto si fa strada la tradizione altrettanto rivoluzionaria che si prende la libertà di mettere nel Presepe ambienti e figure della propria contemporaneità. Chi “fa” il Presepe aggiunge alla scena momenti di vita quotidiana, di lavoro e di festa, accanto ai pastori e ai Re Magi, al Castello di Erode e al tripudio degli angeli che cantano in cielo. Molte sono le persone che nel Presepe trovano il fulcro d’una passione intensa al punto da prolungarla durante tutto l’anno e negli anni. Così come fece Liliana Giordano Scalvi, che raccolse quasi ottocento Presepi di ogni dimensione e provenienza. Statuine, scenari, sculture e rappresentazioni che per anni ha allestito nella sua villa di fronte alla stazione ferroviaria ed ha mostrato ad amici e appassionati. Alla sua morte, tra le molte altre cose e la sua casa, ha lasciato anche l’intera collezione alla Fondazione Biblioteca Morcelli – Pinacoteca Repossi. Si tratta di centinaia di modelli di ogni genere e epoca. Naturalmente non mancano esempi di presepe napoletano. Spicca la solennità vivace delle statuine settecentesche di Capodimonte, ma c’è anche un esemplare in cartapesta che viene da Torre del Greco. Ci sono pastori e pecorelle scolpite nel legno della Valgardena e quelle d’ulivo dell’Umbria. Un presepe in ceramica di Delft sta accanto al teatrino in ceramica bianca, a quello in pietra dura verde e in pietra rosa. C’è il presepe in madreperla che viene dalla Giordania e quello in latta della Cina. Alcuni giungono dalle Filippine e da Taiwan, dal Perù e dalle Ande, dallo Zaire e dal Giappone, dalla Thailandia, Ce n’è uno costruito dagli indiani d’America. Ci sono presepi in avorio, in corallo, in ametista. E uno persino intrecciato con le foglie del mais.
La Fondazione Morcelli-Repossi negli anni scorsi ha più volte messo in mostra alcuni dei pezzi più belli e preziosi, accanto a quelli più originali. Ha scelto di non allestire una mostra propria, ma di partecipare per arricchire rassegne che hanno già una loro bella tradizione. In occasione dell’ottavo centenario della creazione del Presepe, pezzi importanti della collezione Giordano-Scalvi saranno accolti nella Mostra dei Presepi che si terrà dal 17 dicembre in Villa Mazzotti, così come dall’8 dicembre altri saranno esposti nella rassegna che da molti anni il Movimento Cristiano dei Lavoratori allestisce all’interno del Duomo Vecchio di Brescia. Da parte sua, invece, la Fondazione allestirà nella Sala della Stampe, nella propria sede di via Bernardino Varisco, una rassegna delle incisioni tratte dalla preziosa raccolta grafica della Pinacoteca Repossi e dedicate alla Natività. Si distinguono incisioni tratte da opere di Raffaello e Tiepolo, Correggio e Spagnoletto, Veronese e Tintoretto, Guido Reni e Filippino Lippi, Rubens, Luca di Leida e Van der Goes. Anche questo in linea con la ricorrenza francescana, in omaggio all’incantato affresco di Giotto che nella basilica di Assisi celebra la Notte di Greccio. Ottocento anni fa.
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